D: Innanzitutto, cosa significa lavorare nella ricerca per un giovane talento del nostro Paese?
R: Purtroppo, per un ricercatore italiano le condizioni di lavoro tendono a essere meno vantaggiose rispetto a quanto avviene, in generale, all'estero. La ricerca scientifica si svolge prevalentemente in università, ospedali, centri di ricerca, e richiede un'elevata componente di mobilità: se inizialmente questo rappresenta un fattore fondamentale per fare esperienza e arricchirsi di nuovi stimoli, quando sopraggiunge l’esigenza di trovare stabilità professionale e personale, diventa tutto un po’ più complicato.
D: Ci sono altre sfide che voi ricercatori vi trovate ad affrontare quotidianamente oltre alla mobilità?
R: Certo, innanzitutto la comunicazione con la società. I ricercatori vengono visti ancora oggi come un’élite scientifica, che parla un linguaggio poco comprensibile e poco accessibile a un pubblico più ampio, e ciò ne penalizza fortemente il percepito. È vero che esiste la figura del comunicatore scientifico, il cui approccio è più divulgativo e inclusivo, ma non sempre si trova a lavorare a fianco di un ricercatore.
Quello che auspico io, invece, è una sinergia molto più forte tra questi due ruoli, che porti alla creazione di team interdisciplinari in grado di sensibilizzare di più le persone e, al contempo, di ricevere da loro stimoli, proposte e interrogativi. Come stiamo facendo con un gruppo di colleghi attraverso il nostro blog o con le attività che svolgiamo per il Festival della Letteratura di Mantova.
D: A suo parere, il contributo che aziende come Lutech offrono alla ricerca in termini di sostegno economico e di visibilità può contribuire a rendere lo scenario più favorevole?
R: Sicuramente: il solo fatto che ci sia questo interesse a parlarne è un segnale di grande apertura. È chiaro che la questione nazionale rimane un tema più ampio e complesso, ma l’impegno di aziende come Lutech è estremamente utile a dare a noi ricercatori più rilevanza, soprattutto in un momento come questo in cui la fiducia verso i media è molto bassa.
D: In cosa consiste il suo progetto di ricerca, e qual è l’impatto che può generare nella lotta contro i tumori?
R: La mia ricerca si occupa di quiescenza nelle leucemie, ovvero di quelle cellule che, sopravvivendo a chemioterapia o a radioterapia, possono causare la recidiva del tumore anche a distanza di anni. L'obiettivo, quindi, è trovare una soluzione complementare a queste due forme di terapia, che possa intervenire anche sulle cellule quiescenti, debellando la patologia. Si tratta di un progetto innovativo e sono poche attualmente le sperimentazioni di questo tipo su scala internazionale.
D: Un'ultima domanda: in che modo creatività e curiosità (da lei citate come sue caratteristiche nel profilo scritto per Fondazione AIRC) sono skills utili all'attività di ricercatore?
R: Nel racconto che viene abitualmente veicolato sulla Ricerca, spesso si tende a omettere che il percorso per raggiungere i risultati desiderati possa essere molto tortuoso e complesso, e richiedere continui cambiamenti di direzione o di attitudine. In questo, creatività e curiosità aiutano a superare convenzioni, preconcetti e sicurezze acquisite, per aprire la mente a nuove ipotesi e nuove strade. E saranno skills che sempre di più, anche in futuro, diventeranno indispensabili anche nelle discipline più tecniche e scientifiche.